Anche se è passato un pò di tempo e l’ entusiasmo dei primi giorni è sfumato, cerco comunque di trasmettervi l’energia e le riflessioni che il convegno ha trasmesso. I contenuti e gli approfondimenti da fare sono tanti ma tutto è ruotato su come creare una scuola inclusiva e un’integrazione sociale. Dovremmo cercare di accantonare l’idea di credere o pensare che sono gli insegnanti, i servizi o chi per loro a creare inclusione e integrazione. Noi, genitori, per primi dobbiamo collaborare, essere la voce guida che trascina il tutto. Purtroppo si è evidenziato, attraverso osservazioni e ricerche, che c’è molta ignoranza e incompetenza, da parte della scuola e dei servizi, nel riconoscere e poter prendere in carico una disabilità. Molto interessante è stata una delle prime relazioni, di Dario Ianes, nella quale sottolineava che per avere una scuola inclusiva, a suo parere, bisogna riflettere su tre parole: DIFFERENZE, EQUITÀ e COMPETENZE. Per differenze s’intende tutto il genere umano con le “nuove” problematiche che emergono a causa delle migrazioni, delle religiosi, del genere e orientamento sessuale, del reddito e delle “nuove famiglie”. Per avere una scuola inclusiva è necessario che queste differenze siano utilizzate e celebrate. Occorre uscire dagli schemi, dal formare una testa ben fatta, per creare una didattica dell’ eterogeneità, con l’ omaggio alla creatività e alla divergenza. Passare dall’ uguaglianza all’ EQUITÀ = coraggio della tecnica di fare differenze per poter mettere sullo stesso piano chi è più “piccolo” e dargli le stesse opportunità. Progettare una didattica personalizzata. Dal momento che aumenta la COMPETENZA si ha anche maggiore efficacia. Purtroppo il governo si sta muovendo nella separazione strutturale tra insegnanti di classe e insegnanti di sostegno, sia nella formazione universitaria che nel ruolo. Ciò provocherebbe maggiori fenomeni di delega, deresponsabilizzazione…non d’integrazione. La competenza dev’essere di tutti, non di pochi. Oltre a una mancanza di competenza, c’è un disorientamento da parte del personale e dei ragazzi causata da una stimolazione troppo insistente delle emozioni. Le pubblicità, i giochi su pc e PlayStation, ecc. stimolano talmente tanto il cervello da farlo entrare in un circuito dove gli stimoli non trovano più il loro senso. (A tal proposito è possibile approfondire l’ argomento andando sul blog di Facebook “tutto troppo presto”).
Un tuffo nel passato che ha suscitato molta riflessione è stato riproporre l’ insegnamento della Montessori. Riporto qualche stralcio : Geppetto ha fatto di un burattino un bambino. Noi tentiamo di fare di un bambino, un burattino. Il nostro compito è di dirigere le attività del bambino. Per noi la ripetizione può sembrare inutile, per il bambino è la strada maestra. Il tempo è il bambino che sta diventando uomo. Il silenzio è conquista del bambino perché percepisce suoni che a noi passano inosservabili. Aiutami a fare da solo…il grande motto montessoriano.
Molto commovente è stato l’ intervento di Fabio Celi che ha concluso la sua relazione facendo ascoltare la canzone di Povia: “Quando i bambini fanno oh!” che sintetizzava perfettamente il suo pensiero. Non possiamo più pensare che un approccio, un metodo, uno strumento risultato efficace l’ anno scorso o con un bambino con le stesse problematiche sia efficace anche quest’anno o con altri bambini con problematiche simili o uguali. Pensare a programmi rigidi, rinforzi standard senza avere la chiarezza del soggetto che abbiamo avanti non funzioneranno mai. Per creare inclusione, integrazione è necessario mettersi in gioco continuamente, sporcarsi le mani, sperimentare, rinnovare e rinnovarsi. Fare programmi personalizzati non vuol dire che ogni bambino ha un programma a misura sua ma si cerca di fare programmi dove tutti partecipano ma allo stesso tempo si cerca di sviluppare una capacità o competenza che è carente in uno o più elementi del gruppo/classe. Parole chiavi : CREATIVITÀ ed ELASTICITÀ.
A sintetizzare ed esplicitare quanto appena detto è stato lo psicoanalista, Massimo Recalcati, iniziando il suo intervento con una domanda :” come l’ insegnante resiste all’ usura, come può mantenere vivo il desiderio di insegnare?” Se riesce a trasformare la scuola come una illuminazione : ogni giorno sembra uguale ma dal momento che l’ insegnante entra in classe può sempre essere un incontro speciale, un portatore di luce e non solo trasmettitore del sapere. Erotizzazione del sapere : lo stile dell’ insegnante trasforma magicamente i libri in corpi. Il libro da elemento passivo diventa attivo, incarnato, elemento da amare. Sforzarsi di dire cose “vecchie” con parole nuove vuol dire che anche l’ insegnante (o chi x lui) rinizia ogni volta e c’è sempre qualcosa che lo sorprende e fa esperienza, perché anche chi segue è sorpreso e interessato. L’ insegnante si accorge di aver fatto una buona lezione quando ha imparato qualcosa di nuovo! La chiarezza, non la semplificazione, è fondamentale per ogni insegnante e alunno. La parola chiara ha un potere illuminante su qualcosa d’incomprensibile.
Daniela Lucangeli ricordava una frase di Seneca: “assumersi con gioia la responsabilità di crescita”…non dobbiamo essere inquinanti ma portatori di luce e speranza. (Per una curiosità e informazione personale: un indicatore di calo nella maturazione è proprio il sorriso).
Altrettanto illuminante è stato l’intervento di Paola Venuti, dell’università di Trento che ha dato delle piccole indicazioni per come formare gli insegnanti per integrare gli alunni con disturbi dello spettro autistico. Noi pensiamo che il comportamento si può sempre modificare, basta un po’ di buona volontà. Invece ci sono comportamenti comunicativi, sociali ripetuti e interessi ristretti che non si possono modificare perché sono neurologici. È importante capire come comportarsi con soggetti che hanno questi comportamenti per adattare l’intervento in base alla comprensione/funzionamento del loro cervello. Interventi psico-educativi mirati. La diversa comprensione del bambino con spettro autistico dà anche la possibilità di pensare in modo diverso. Ciò impone un incontro molto ristretto tra insegnati ed equipe sanitaria affinchè l’insegnate capisca come funziona il cervello del bambino con spettro autistico e non intervenga diminuendo la difficoltà di consegna, solo perché il bambino non comprende, non comunica e non risponde agli stimoli. I comportamenti problema non sono un problema del bambino ma l’insegnante deve dare risposta intervenendo perché c’è un malessere da parte del bambino. Il supporto visivo è molto importante lì dove c’è una comunicazione difficile.
Ma allora chi sono i bravi insegnanti? Come fa l’insegnante a scegliere metodi didattici giusti? Antonio Calvani, dell’università di Firenze, sostiene che la didattica è una sequenza di decisioni. È un lavoro molto complesso, non per mancanza di informazioni ma perché ce ne sono troppe. La sfida è mettersi in gioco e in continua innovazione per sistemi diversi. È importante dare affidabilità alle info. (SApie è un’associazione con lo scopo di aiutare a scegliere la metodologia giusta).
L’osservatorio sulla condizione delle persone con disabilità è una realtà nota con la legge del 3 marzo 2009 n°18. C’è una carenza di cultura delle politiche educative e formative. Le politiche sociali che derivano dalla politica inclusiva dovrebbero situarsi oltre lo compensazione degli svantaggi. La disabilità non è qualcosa di strano nella normalità ma fa parte della normalità.
Un tuffo nel mondo digitale: quanto è efficace il metodo digitale per creare integrazione e inclusione? Francesco Zambotti ci diceva che spesso noi abbiamo la tentazione di pensare che il digitale possa risolvere un problema, pensare il digitale come strumento e come cultura. Ma…se non cambia il metodo didattico, il digitale non trova posto. Lo stesso vale per l’educazione domestica: l’acquisto di uno strumento compensativo risulta inutile quando non coinvolge il ragazzo, non lo stimola e non crea interesse.
Il digitale è importante e interessante se permette di elaborare contenuti e non solo presentarli. La sfida è mettere in atto delle modalità di conoscenza gestite dall’insegnate con metodologie vecchie e metodologie innovative. La personalizzazione non è dare cose diverse ad ognuno creando l’isolamento. È quello che avviene se ognuno gioca col suo tablet.
Il libro digitale diventa efficace se dal testo base si passa al testo semplificato. Non solo per bambini con difficoltà ma per tutti. Poi andando avanti (cliccando sullo schermo) si può accedere al testo liquido dove è possibile ingrandire il testo e renderlo personale in base alle esigenze del singolo…così il digitale diventa uno strumento utile ed efficace.
La fatica di diventare grandi, intervento di Gustavo Pietropolli Charmet (Responsabile Consultorio adolescenti Minotauro di Milano) evidenziava come i ragazzi sono difficili da trattenere nei dispositivi scolastici perchè non riescono a vedere nella scuola il loro significato simbolico e quindi neanche a vedere l’ adulto come qualcun’altro che ha autorità su di loro. Questi ragazzi hanno difficoltà ad indossare e utilizzare il vero ruolo di studente. Al di fuori della scuola non sono aiutati a capire qual’è il loro ruolo sociale. Alle loro spalle spesso ci sono genitori che non hanno a cuore di far percepire il ruolo di padre e di madre e onorare la loro autorità. Hanno grande difficoltà a credere che hanno un futuro dove poter realizzare i loro sogni. Sono orfani di futuro. Una delle soluzioni è spesso il gruppo classe e si dovrebbe puntare su di esso per evitare la dispersione. Se ogni docente, componente del collegio docente, si prendesse carico di 5/6 ragazzi per entrare a far parte del dispositivo classe valorizzando le loro attitudini si avranno risultati positivi grazie ad un potenziale che sono i coetanei per poter così condividere anche i loro sogni
È così possibile sfidare l’ altruismo che non è altro che prendere i punti di forza, evidenziarli e ricavarne risorse. Ciò a sua volta vuol dire imparare a crescere da parte dei genitori e degli insegnanti insieme al ragazzo. Le mamme, o chi per loro, non possono restare le stesse di quando i figli erano piccoli. Bisogna imparare a leggere l’ altruismo altrimenti il mondo non ci sarebbe.
Daniele Novara, del centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti di Piacenza, è intervenuto con “litigare con metodo”. Fa sorridere questo titolo ma anche molto riflettere. La tendenza correttiva nei litigi infantili si perde nella notte dei tempi. Resta un tabù pedagogico ancora vivo! Bisogna uscire dalle forme arcaiche, cercare sempre il colpevole, trovare sempre cose sbagliate nei bambini, cercare la configurazione del/della bravo/a bambino/a. Litigare fa bene, i bambini litigano con i loro amici, non con gli estranei. Nei bambini fa parte del gioco. È buono a livello pedagogico favorire la versione reciproca del litigio:farli dialogare tra di loro senza la presenza dell’adulto. Magari far scrivere la propria versione o, se più piccoli, farla disegnare. Gli accordi che prenderanno sono molto strani e scombinati tra loro ma bisogna accoglierli semplicemente per sviluppare una autoregolazione. Concludeva il suo intervento, Daniele Novara, dicendo che l’ immaturità fa parte per antonomasia del bambino ed è la forza del bambino.
Workshop: IMMAGINABILI RISORSE. Quando i servizi generano valore sociale nel proprio contesto l’inclusione diventa possibile.
Dott. Maurizio Colleoni e dott. Mauro Tommasini
Le persone con disabilità psicofisiche sono prima di tutto persone e vivono spesso in ambienti sociali poco appropriati. Hanno diritti ma solo se questi diventano esigibili e se ci si fa partecipi, si contribuisce in maniera attiva per rendere possibile la loro concretizzazione. Se vogliamo che le persone con disabilità siano incluse ci dev’essere inclusione tra coloro che gestiscono servizi e tra coloro che ne devono usufruire. INCLUSIONE = intreccio, reciprocità tra stili di vita e bisogni di vita diversi. L’ individuo disabile rappresenta un elemento discontinuo e costoso nella società. Il gruppo sociale tende a retroagire nei confronti di chi è un problema, di chi rallenta il loro modo di agire per la forte dipendenza. Prima la disabilità è stata identificata come qualcosa di pericoloso e non si è fatto altro che escluderli dalla società (manicomi). Disabilità = fragilità. Poi quando storicamente ci si rende conto che il disabile è una persona da “riparare” allora nascono i servizi sociali, nascono dispositivi legislativi per sostenere gli individui con disabilità e per evitare l’ emarginazione in tutti i contesti sociali. Evolvendosi il pensiero sul paradigma dell’ inclusione si è pensato di vedere piuttosto come operare, come intervenire perché il soggetto possa non essere emarginato. I servizi, gli operatori e i disabili devono lavorare intorno a tutti coloro che ruotano intorno ai disabili, ma che non sono disabili. Sviluppare una relazione attiva col mondo circostante in modo da aprire delle possibilità di coesione per creare inclusione. Tu sei il contesto che lavora per creare autonomia. I servizi sono dei dispositivi educativi potenzialmente in grado di offrire delle opportunità che non sfruttano il disabile ma lo rendono capace di creare autonomia. Spesso vengono stanziati dei soldi, comprati appartamenti e introdotti disabili in camere con 2/3persone, senza badare all’ intimità delle persone. Poi si arriva ad un certo punto in cui il comune non ha più i fondi per pagare le rette. Questo è un sistema che può essere paragonato a collocare dei disabili sull’ autostrada e ogni tanto dare la possibilità di fermarsi all’ autogrill dove c’è di tutto e di più, per poi ritornare sull’ autostrada. Ma la vita sta fuori, è oltre. Portiamo la realtà nei servizi e i servizi nella realtà. Non racchiudiamo solo le realtà nei servizi. I servizi possono essere punti di partenza e di arrivo, non possono essere solo erogatori e gli operatori essere non solo la regia ma essere operativi fino in fondo.
Durante questo workshop hanno presentato slide che presentavano i loro progetti effettuati nei diversi anni.
Il materiale si può visionare su www.includendo.net
Gli altri workshop ai quali ho partecipato non hanno dato indicazioni interessanti poiché o è stato fatto un excursus di materiale preparato (ad esempio in due workshop: “Proposte ed ausili fai da te per la didattica personalizzata” e “leggere a volo con il metodo analogico”) oppure nel workshop “Disturbo socio-pragmatico comunicativo” è stato presentato soprattutto il decorso scientifico e gli studi che sono stati fatti con annesse classifiche.Se qualcuno è interessato a quest’ultimo argomento ho del materiale trascritto che posso inviare tranquillamente.
Non so quanto sia stata chiara e se ho complicato le vostre idee!! Naturalmente ci possono essere pareri e concetti discordanti poiché ogni relatore, in base alla propria esperienza, ha riportato il suo pensiero e modo di vedere. Sta a noi abbracciare la teoria che è più consona alla nostra situazione e trasformarla in pratica.
Scolastica Ranieri